Le fornaci del ´700
Gli studiosi che hanno ricostruito le vicende storiche del nostro Comune ci hanno sempre parlato di fornaci che svolgevano attività con la probabile produzione di calce e stoviglie, senza però mai poterne fornire notizie certe e dettagliate.
Un recente studio della dottoressa Daniela Stiaffini del "Centro ligure per la storia della ceramica" porta un po´ di luce e fornisce notizie certe e preziose sul nostro passato economico e industriale, che credo sia utile far conoscere ed illustrare ai nostri cittadini.
I cenni storici che cercherò di tracciare il più sinteticamente possibile sono contenuti in alcuni memoriali presentati dalla Certosa di Calci e da Lodovico Coccapani negli anni dal 1762 al 1769.
Riguardano una controversia affittuaria sfociata in un processo ed in una sentenza favorevole ai Certosini decretata dalla Regia Consulta Toscana.
Da questi documenti, la prima cosa interessante che scopriamo è la notizia che nel nostro territorio, fin dall´ultima decade del XVII secolo, un monastero iniziò la produzione della ceramica mettendo a disposizione i fondi per impiantare e gestire una fornace.
Questa scelta venne fatta perché nel circondario del monastero esistevano ed erano di facile reperibilità le materie prime per l´attività di una fornace: le grandi estensioni boschive da cui ricavare il legname per alimentare il fuoco e l´argilla, che veniva chiamata "molletta" o "mollettone", fornita dai torrenti e dal vicino fiume Arno.
Il fiume serviva anche per un altro importante scopo.
In un documento allegato si legge testualmente di "una fornace per cuocervi calcina e materiali per uso delle fabbriche... Stante il comodo fiume Arno per li trasporti...". Evidentemente, dopo la cottura, i materiali prodotti venivano caricati sui navicelli per essere trasportati in altre località.
Inizialmente (1690 circa) i Certosini del monastero di Montecchio attivarono un´officina per la produzione di materiale laterizio nel luogo detto "Podere della fornace" che era composta da due fabbricati a due piani per la produzione e la cottura di materiale laterizio (mattoni, embrici, embricetti, embricioni) e di calcina forte, dolce e spenta.
Vi erano poi: un edificio a due piani più piccolo per la produzione e la cottura di vasellame da cucina e, annessi ai due fabbricati, i magazzini per la conservazione del legname e lo stivaggio dei prodotti finiti.
All´inizio furono i certosini stessi a condurre le fornaci ma, dopo alcuni anni, venne fatto venire appositamente da Siena il maestro ceramista Giovan Battista Franci con la mansione di "piattaio" detentore del metodo di fabbricazione delle così dette "mezze maioliche".
Al Franci affiancarono un "pignattaio" specializzato nella fabbricazione della "ceramica da fuoco". Questa mansione venne affidata a Marco Coccapani, vasaio di origine modenese, esperto nella fabbricazione di ceramiche per cucina e brocche. Lavorando con il Franci, il Coccapani imparò così anche la produzione delle "mezze ceramiche".
Per circa vent´anni l´attività andò avanti, proficuamente e senza modifiche, producendo:
a) la fornace più grande, condotta dai Certosini, mattoni, embrici, calce, ecc. Questi prodotti, oltre che alla vendita, venivano destinati anche alla costruzione ed al riadattamento delle case coloniche della fattoria di Montecchio;
b) la fornace più piccola, condotta dal Franci e dal Coccapani, ceramica pregiata denominata "Maiolica di Montecchio". Insieme a questo prodotto pregiato ve ne era uno di qualità inferiore definito "Piatti del contadino" usato dagli strati più bassi della popolazione.
Ma nel 1716 il Franci fu costretto, per ragioni d´età, a lasciare il lavoro. Fu così che, su richiesta di Marco Coccapani, i Certosini cedettero a lui in affitto l´uso della fornace piccola con annessi e connessi, compresa l´autorizzazione a prelevare la "molletta d´Arno".
Da allora e fino al 1740 Marco Coccapani produsse ceramica in proprio. Giunto all´età di 76 anni, cedette l´attività al figlio Lodovico che la condusse proficuamente e senza intoppi fino all´anno 1762.
Dai documenti non emerge quante erano la maestranze impiegate nelle due fornaci. Ma il numero degli addetti doveva essere di una certa importanza perché nei documenti si può leggere che nella fornace più piccola "... per cuocere una fornaciata di piatto o di stoviglie..." erano necessari "... una barcata e mezzo di terra in circa e che sia di libbre ventiduemila per ciascuna barcata...".
Fu nel corso dell´anno 1762 che i Certosini decisero di rescindere il contratto di affitto. Prendendo a pretesto gravi danni causati dal Coccapani alla viabilità della fattoria a causa del prelievo incondizionato dell´argilla ed anche dalla loro necessità di trasformare gli ambienti di quella fornace in magazzino.
Lodovico Coccapani si oppose alla rescissione del contratto e la controversia finì così in tribunale. Quando la Regia Consulta Toscana decretò l´obbligo di restituire l´immobile, non gli rimase altro da fare che trasferire l´attività in nuovi locali da lui allestiti ai margini del centro storico di Calcinaia (l´attuale via Saffi).
E fu in quella fornace che proseguì la produzione delle sue rinomate maioliche.
Dai libri di cassa allegati ai fascicoli giudiziari risulta che le pentole ed i tegami con il marchio "Maioliche di Montecchio" erano veramente pregiate. Il motivo di questo loro pregio era dovuto alla terra di Montecchio che conteneva qualità da renderla resistente al fuoco e, al tempo stesso, impermeabile ai liquidi delle minestre e pietanze.
Era un materiale così pregiato che veniva esportato, oltre che a Firenze, Livorno e Pisa, persino fuori dalla Toscana.
Da Marco Coccapani nacque una dinastia di Ceramisti che produsse ceramiche a Calcinaia fino ai primi decenni del Novecento. La loro eredità fu raccolta in seguito dalla famiglia Rovini che ha tenuto viva quell´attività fino a circa il 1960.
L´amico Osvaldo Rovini con i suoi figli e nipoti possono essere oggi considerati gli eredi simbolici di questa nostra simpatica e positiva tradizione artigianale.
(Fonte: Archivio di stato di Pisa. Biblioteca: M.240 -34-)
(Giuliano Bozzoli)